Di ritorno dal congresso SIMeL di Trieste, ho nella mente le parole appassionate che i presidenti delle Società di Medicina di Laboratorio, e altri loro colleghi, hanno speso in difesa della professione.
Il Laboratorio non è il luogo dove si producono semplicemente dei numeri, ma la struttura a cui si rivolge il medico che ha in carico il paziente per avere una risposta al suo quesito clinico.
Queste parole esprimono un concetto forte, che è difficile non condividere, e che rappresenta una linea d’azione per una maggior valorizzazione della Medicina di Laboratorio.
E cosa si può rispondere a chi, maliziosamente, facesse notare come l’uomo di laboratorio, per sfuggire ad una massiccia automazione, si rifà artigiano, pretendendo di trattare ogni singola richiesta come qualcosa di unico, su cui lavorare specificatamente, come se le dimensioni quantitative del lavoro lo permettessero?
Vorrei dare, da persona al di fuori dello specifico ambito professionale, un mio personale e parziale contributo a questo dibattito, senza la pretesa di fornire risposte definitive e/o ricette preconfezionate.
Io credo che tutti abbiano chiaro che non basta indicare un principio, ma occorre dare soluzioni che tengano conto delle molteplici dimensioni del problema e che esse debbano essere convincenti in primis per gli aspetti di fattibilità ed economici. Ed è un bene che lo specialista di laboratorio dichiari di voler uscire dal Laboratorio, aprendosi ad un confronto con gli altri specialisti.
E’ mia opinione infatti che la partita si giochi sul terreno delle alleanze: si difende validamente la Medicina di Laboratorio se si sanno costruire le giuste alleanze, avendo bene presente quale contributo può essere portato da ciascuna di esse.
In particolare:
o Con i clinici – essi sono i naturali fruitori del servizio, quelli che ne possono comprendere l’importanza (soprattutto nei termini di beneficio per il paziente).
o Con gli altri specialisti in diagnostica - perché se il focus deve essere sulla risposta al quesito clinico, questa risposta deve essere completa, indipendentemente dal mezzo con cui viene prodotta. Il laboratorista deve interagire con il radiologo, con l’anatomo patologo, ecc.., per fornire un servizio a maggiore “valore aggiunto”. Si pensi per esempio, al dibattito in corso sugli “integrated bio-markers”.
o Con i fornitori di informatica – perché sono loro che possono far uscire questo approccio dall’ambito artigianale e farlo diventare industriale, in una parola, fattibile. Sono loro che devono rendere il più possibile fluido, continuo e ricco il passaggio di informazioni fra clinica e laboratorio. Senza queste condizioni il dibattito rischia di rimanere sterile.
o Con gli specialisti di organizzazione – cioè con quelle persone, come il sottoscritto, che, sulla base di un proprio specifico professionale, sono in grado di supportare il Laboratorio a) a migliorare la propria efficienza senza abdicare dai propri principi professionali, b) a dimostrare come la via tracciata sia quella che porta i maggiori benefici, anche in termini economici, per l’organizzazione sanitaria e per i pazienti. Fidarsi di chi, in maniera scientifica ed indipendente (non condizionato né dall’esigenza di vendere, né da problematiche interne all’organizzazione), è in grado di fornire le evidenze di quanto andate affermando, è una delle vie più potenti per poter far valere la vostra visione nei confronti di chi gestisce l’organizzazione sanitaria.
Un discorso a parte meriterebbe poi l’alleanza con il paziente (su cui ricadono tutti i benefici o i danni derivanti dalle scelte compiute dagli specialisti). E’ evidente l’importanza che essa può assumere nel momento in cui se ne individuassero le modalità concrete di attuazione (magari attraverso il coinvolgimento delle associazioni di pazienti)
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A qualcuno sarà poi rimasta la curiosità di sapere se esiste una chiave di lettura diversa del grafico in figura 1. Esso rappresenta l’andamento del costo dell’emocromo in relazione al volume di lavoro in alcuni dei Laboratori in cui operiamo. Sono considerati i costi interni al Laboratorio, incluso quelli relativi al personale.
Questa è sicuramente una valida base decisionale per Laboratori commerciali, il cui “prodotto” è effettivamente il risultato dell’esame e che deve quindi essere ottenuto al più basso costo possibile (a parità di qualità).
La stragrande maggioranza dei Laboratori italiani sono però inseriti in strutture sanitarie il cui “prodotto” è la salute del paziente, che deve essere recuperata o mantenuta attraverso un percorso articolato, di cui l’esame di laboratorio è solo un componente. Anche se volessimo restringere la nostra visione al solo aspetto economico, è evidente che esso va valorizzato per l’intero processo e non per una parte di esso. A maggior ragione in quanto l’esame di laboratorio è un componente molto particolare, in grado di condizionare fortemente le altre attività.
Questo ragionamento troppo spesso si arena sulla difficoltà di misurare, con le proprie forze, il risultato del processo, quello che ormai tutti chiamiamo l’outcome. E ritorniamo quindi a quanto detto poco sopra.